LAOS (08 – 21 gennaio 2025)

MUANG KHUA – 08/09 gennaio 2025

Arrivo a MUANG KHUA, prima città del Laos del nord, la mattina molto presto dopo essere partita la sera precedente da Sapa (in Vietnam) con un bus. Il viaggio si è rivelato piuttosto avventuroso – come ho descritto nell’articolo sul Vietnam/parte 2: la strada sconnessa, la dormita su un materassone in mezzo a sconosciuti sul retro del bus, poi il cambio per un pulmino locale che, attraversando prima la frontiera vietnamita e poi la frontiera laotiana, dopo innumerevoli tappe a caricare merce e persone, mi ha letteralmente scaricato in mezzo alla strada di Muang Khua. Piccolo avvertimento per chi vuole attraversare come me a nord del Vietnam (da Dien Bien Phu): al momento del mio viaggio non era possibile fare il visto per il Laos all’ingresso del paese, quindi dovete arrivare con visto cartaceo già sul vostro passaporto; io venendo da Hanoi l’ho fatto lì all’ambasciata. Ho viaggiato con altri europei convinti di poterlo fare direttamente alla frontiera laotiana (che tra l’altro è nel nulla, in mezzo alle montagne) e si sono sentiti dire già alla frontiera vietnamita che non potevano farlo e dovevano tornare indietro! Altri viaggiatori mi hanno riferito che, ovviamente pagando, qualche hotel di Dien Bien Phu fa un “servizio Visa” in cui tu stai da loro qualche giorno mentre un loro incaricato va ad Hanoi, fa il visto per te, e poi torna. Ma non so molto altro…

Anyway, Muang Khua è davvero un villaggio minuscolo dove non c’è molto da fare, ho fatto un giretto a piedi, ho attraversato un bel ponte sospeso e niente di più. E onestamente il primo impatto con il popolo laotiano non è stato dei migliori: abituata al Vietnam, alla cordialità dei suoi abitanti, ai sorrisi che ti vedi rivolgere da tutti, qui la realtà è ben diversa. Nessun sorriso e, anzi, ho l’impressione che i laotiani ti squadrino da capo a piedi con un’aria di diffidenza, e solo in pochi parlano inglese… ma non voglio crearmi un giudizio affrettato, teniamolo in sospeso.

MUANG NGOY – 09/11 gennaio 2025

Parto la mattina da Muang Khua in barca, direzione MUANG NGOY, il villaggio successivo lungo il fiume Nam U. C’è una sola barca che parte la mattina da Muang Khua, i biglietti si fanno direttamente al ristorante del “porto” (ma chiamarlo così è un eufemismo!) da circa un’ora prima della partenza della barca. Anche qui il viaggio mi ricorda quello del pulmino di ieri, con innumerevoli tappe nei piccoli villaggi su entrambe le sponde del fiume a caricare persone e cose (pure uno scooter): se alla partenza siamo quasi tutti turisti che riempiamo circa metà barca, all’arrivo la barca è piena di un bel mix turisti/laotiani e di tanta, tanta roba. Purtroppo non si può arrivare a Muang Ngoy direttamente con la barca iniziale per la presenza di una diga; quindi a un certo punto ci fanno scendere, ci caricano sopra un furgoncino e ci portano al punto successivo dove un’altra barca ci farà arrivare a destinazione. Qui non ti danno troppe indicazioni a parole (anche perché l’inglese non è così diffuso), ma a gesti ti fanno capire dove devi andare. Il problema è non sapere quanto dovrai aspettare! Ma inizio a capire che qui in Laos il concetto di tempo è molto relativo; una volta che lo sai, e che accetti di non avere fretta, ti godi il viaggio. Insomma, dopo una ventina di minuti d’attesa in un posto sperduto, io, gli altri turisti e un trio di monaci buddisti, vediamo spuntare la famosa barca. Su di nuovo tutti, persone e bagagli, e arriviamo finalmente a Muang Ngoy. L’arrivo in barca a questo villaggetto sul fiume, circondato dalle montagne è molto suggestivo, e sono contenta di aver scelto di fermarmi qui un paio di giorni. Nel villaggio c’è un’unica strada principale dove si affaccia la maggior parte delle guesthouse e i numerosi ristoranti, la scelta non manca su dove godermi il resto della giornata in relax.

La giornata successiva parto per una camminata alla scoperta dei villaggi locali attorno a Muang Ngoy (che il villaggio più turistico): i villaggi Ban Na e Houy Bor. La camminata è davvero piacevole, lungo il percorso si può visitare la grotta Tham Kang Cave (si entra in autonomia, meglio avere una torcia) e, arrivati ad una biforcazione, io scelgo di tenere la destra imboccando una “scorciatoia” che permette di arrivare al primo villaggio di Ban Na attraversando le risaie, su un sentiero pianeggiante. Nel villaggio si respira la vita locale: le persone sono impegnate nei loro lavori, i bambini giocano, e quasi non ti guardano neppure se non per qualche sporadico sorriso; proseguendo lungo il sentiero, e attraversando scalzi un fiumiciattolo, si può arrivare dopo un’altra mezzora di cammino, al villaggio successivo, Houy Bor. Mi fermo a bere un tè presso la guesthouse di una signora anziana, che mi mostra un sacchetto di plastica pieno di fototessere di viaggiatori che sono passati da lei…non so dire se è carino o inquietante vedere tutte quelle fotografie tipo foto segnaletiche, però nel dubbio le lascio anche la mia (avevo delle foto in più pensando mi servissero per il visto, invece una era più che sufficiente). Mi chiede poi, a gesti, di fare la fotografia del biglietto da visita della guesthouse per pubblicizzarla; sicuramente dormendo da lei si sperimenta la vita reale di un piccolo villaggio rurale del Laos perciò può essere davvero interessante, ecco qui i contatti per tenere fede alla parola data: Huay Bor Village, Somsanouk Vizaka Service, +8562058556091.

Rientro quindi verso Muang Ngoy percorrendo stavolta la strada principale al posto della scorciatoia, in modo da fare un percorso ad anello; qui bisogna salire e poi scendere e la strada è parecchio polverosa, specialmente quando passano dei mezzi, quindi sono contenta di aver scelto la scorciatoia all’andata. Arrivata a Muang Ngoy mi rilasso in riva al fiume e cerco di ripulire le mie scarpe che sono ormai del colore della strada. Verso le 15.30-16, come consigliato da un signore locale, mi avvio a piedi verso il Phanoi Viewpoint, un punto panoramico che, con la luce del tardo pomeriggio, promette di essere spettacolare. (Spoiler: lo è). Il punto è arrivarci: il sentiero per raggiungerlo non è così banale, abbastanza ripido e con alcune scalette di legno. Si può scegliere una via più diretta e ripida o un’altra un poco più dolce (ma sempre a prova di ginocchia), io opto per la prima all’andata e la seconda al ritorno. La vista in cima merita sicuramente tutta la fatica dei 40 minuti di scalata! Esiste a Muang Ngoy anche un altro viewpoint, che viene però descritto come moto difficoltoso da raggiungere e in alcuni tratti pericoloso (e se già i laotiani lo descrivono così non oso immaginare), e un’altra turista mi conferma la difficoltà affrontata dal marito – a suo dire super sportivo – nel raggiungerlo…essendo da sola preferisco non imbarcarmi in questa impresa, e mi accontento del mio viewpoint.

LUANG PRABANG – 11/13 gennaio 2025

Parto da Muang Ngoy con l’unica barca mattutina (consiglio di arrivare al porto prima dell’orario di partenza ufficiale perché se la barca è piena parte prima) che arriva a MONG KHIAW, altro piccolo villaggio spesso scelto da turisti come tappa alternativa a Muang Ngoy. Io in realtà non mi fermo, perché il mio programma è prendere un bus locale che mi porterà a LUANG PRABANG. Ecco che, io e gli altri turisti, ci scontriamo con le indicazioni vaghe sui modi e tempi del Laos: non si capisce bene cosa dobbiamo fare e quanto dobbiamo aspettare questo bus, fino a che non sentiamo un signore locale gridare la nostra destinazione e indicarci un pulmino piuttosto malconcio dove caricare noi (dentro) e i bagagli (sul tetto). Alla fine il viaggio procede senza intoppi – se non per innumerevoli soste del nostro autista che deve scaricare e caricare merce e, secondo noi, farsi anche gli affari propri fermandosi dove gli fa comodo – e arrivo alla stazione di Luang Prabang. Qui con un tuk tuk locale (che in Laos si chiamano songthaew) mi faccio portare al mio ostello, vicino al centro della città. Faccio un giro per iniziare a conoscere questa prima grande città laotiana, e mi intrufolo nel grande night market (turistico ma bello), ricco di posti dove mangiare e di souvenirs. Mi piace alternare un po’ di posti immersi nella natura con posti di città, trovo che sia bello mischiare un po’ questi mondi.

La giornata successiva inizia all’alba, letteralmente. Mi sono accordata infatti con Ipsita, la ragazza indiana con cui ho fatto volontariato in Cambogia e che si trova ora in città, per salire al monte Phou Si a vedere l’alba. Ora, chiamarlo monte è un po’ troppo, si tratta di una collinetta in centro alla città con un tempio sulla sua sommità. Ma prima di salire diamo un’occhiata alla cerimonia dell’elemosina dei monaci di Luang Prabang: ogni mattina i monaci sfilano per le strade centrali della città per raccogliere le offerte dei fedeli che li attendono lungo il percorso. Purtroppo, come avevo letto su vari blog, ora questa cerimonia è diventata “vittima” del turismo, tanto che vengono veduti ai lati della strada ai turisti dei “kit offerta” da dare ai monaci, e molti turisti noncuranti delle regole civili da rispettare si posizionano a pochi cm dai monaci per poterli fotografare. Insomma, sinceramente non vale la pena svegliarsi presto solo per vedere questo assalto della folla che lascia poco alla magia della cerimonia in sé. Comunque, noi ci avviamo verso il monte Phou Si salendo in circa 20 minuti una ripida gradinata che ha inizio proprio dietro il night market. Raggiungiamo la cima dove c’è già qualche turista appostato con la macchina fotografica e infreddolito (la temperatura è bassa!) e pure noi troviamo un posticino dove ammirare lo spettacolo del sole che fa capolino. Nonostante la levataccia, andava fatto! Una volta scese, un caffè insieme e poi io noleggio una moutain bike perché voglio raggiungere le cascate Kuang Si Waterfall. So che sarà una bella impresa, le cascate distano circa 30 km da Luang Prabang, e con alcuni sali-scendi. Ma ho tutta la giornata, il clima è buono…perché no. La pedalata è piacevole, nonostante la strada sia abbastanza trafficata per i vari pulmini e songthaews che vanno alle cascate, si pedala senza troppo fastidio. A un certo punto, dopo la metà del percorso, vedo con la coda dell’occhio una parola magica anzi due: “mozzarella” e “burrata”. Scritte così, in italiano. Dopo due mesi e mezzo di astinenza da formaggi italiani è il mio istinto che mi fa frenare di colpo, fare dietro front con la bici e capire chi promette questi tesori! Si tratta di una azienda agricola che alleva bufali e vende prodotti (formaggi, gelati) a base di latte di bufalo, la Laos Buffalo Dairy. Inutile dire che prendo una bella confezione assaggio di tutti i tipi di formaggi e me la godo lì sui loro tavolini, una squisitezza! Vedo vari turisti fermarsi, infatti nella azienda organizzano anche dei tour di visita, che credo siano interessanti anche per i più piccoli. Ma io, sapendo di avere ancora qualche chilometro davanti, non mi fermo oltre e proseguo. Arrivo quindi a destinazione, parcheggio la bici, e acquisto il biglietto di ingresso del parco che ospita le cascate.

E’ un parco bellissimo e davvero grande, merita sicuramente una visita. All’ingresso del parco ci si imbatte nel Bear Rescue Centre, un centro di recupero per gli orsi salvati dai bracconieri e dal commercio illegale, che ora vivono all’interno del parco in una zona allestita con altalene, “giochi” e oggetti naturali studiati per loro. Si possono osservare da vicino attraverso grandi vetrate; devo ammettere che però non mi sono sentita così a mio agio osservandoli come se fossero in uno zoo; cercando però informazioni on line su questi centri di recupero, viene spiegato che la maggior parte degli orsi sono stati presi da cuccioli dopo che i bracconieri hanno ucciso le loro madri, e sono quindi “umanizzati”; non essendoci una foresta protetta adatta al loro rilascio, richiedono perciò cure per tutta la vita. Ha un suo senso. Dopo il passaggio a vedere gli orsi si risale nel parco godendosi man mano la vista delle varie piscine, cascate e torrenti – quello che balza subito all’occhio è il colore turchese dell’acqua, stupenda, dato dal tipo di roccia che l’acqua si trova ad attraversare. Ogni cascata è una meraviglia! In alcune delle prime “piscine naturali” che si incontrano si può anche fare il bagno, clima permettendo, mentre in altre è vietato. Io ho proseguito fino alla sommità del parco (è in salita), facendo un percorso circolare: sono salita dal sentiero definito “trekking” (sulla destra delle cascate) per poi scendere attraverso le lunghissime scalette di metallo che partono dalla zip line presente sulla vetta e ridiscendono. Il dislivello non è minimo, ho visto tantissimi turisti arrancare non poco! Dopo un paio d’ore nel parco o forse più riprendo la mia bici sapendo che mi ci vorranno altri 30km per rientrare a Luang Prabang; ne approfitto però di una pausa in uno dei graziosissimi caffè che si incontrano sulla via dove, per caso, incontro sia la coppia di turisti polacchi sia il signore austriaco con cui ho affrontato parti del viaggio in Laos – è bello quando si incontrano facce note e ci si urla il proprio nome! Arrivo a Luang Prabang e mi fermo in riva al Mekong a osservare il flusso di acqua, di barche, di gente – ha sempre un effetto rilassante. Torno in ostello, stanca ma piena di ricordi da questa giornata intensa.

La mattinata successiva ce l’ho ancora a disposizione per godermi un po’ Luang Prabang, prima del treno verso la prossima città., Vang Vieng Quindi mi dedico alla visita ad alcuni dei templi buddisti in centro: alcuni sono a pagamento, ma la cifra è minima – attorno ai 2$ – come i più famosi Wat May Souvannapoumaram e Wat Xieng Thong, altri sono del tutto liberi (all’interno si trova sempre una cassetta per le offerte se si vuole lasciare qualcosa). Ecco, forse almeno nei casi dei templi più grandi, potrebbe valere la pena avere una guida che spiega le loro parti principali e la storia, altrimenti dopo un po’, concedetemelo, tutti i templi sembrano uguali! Passo poi al Traditional Arts Ethnology Centre, museo interessante sulle diverse etnie del Laos e con una sezione particolare dedicata al fenomeno dell’appropriazione culturale da parte di alcuni grandi brand (es. Max Mara) nei confronti dei tessuti e dei modelli di abbigliamento delle popolazioni locali laotiane. Nel primo pomeriggio arriva l’ora di spostarmi con un songthaew verso la stazione dei treni di Luang Prabang, che si trova distante dal centro, ci vuole una buona mezzora di viaggio. Quando si arriva lo spettacolo è abbastanza surreale: in mezzo al nulla c’è questa imponente struttura costruita dai cinesi, dotata di controlli scanner e check-in come negli aeroporti (tanto che ho dovuto aprire lo zaino e lasciare le mie forbicine che avevo nel beauty). C’è da dire che il treno funziona molto bene, un piccolo ritardo – ma chi siamo noi italiani per giudicare su questo! – ma fila tutto liscio. Il viaggio verso Vang vieng dura circa un’ora e mezza e passa piacevolmente; consiglio di fare questa tratta in treno piuttosto che su un van che impiega molto più tempo.

Altre due tappe che, per motivi di tempo, non sono riuscita a fare a Luang Prabang ma che potrebbero essere interessanti sono: una visita al Uxo Lao Visitor Center, riguardante il tema delle bombe sganciate sul Laos da parte degli Stati Uniti e molte ancora inesplose; e una serata al teatro Garavek Storytelling, in cui vengono narrati in lingua inglese racconti, miti e leggende del Laos.

VANG VIENG – 13/15 gennaio 2025

Dopo essere arrivata nella guesthouse la sera precedente, inizio la prima giornata piena a VANG VIENG noleggiando uno scooter per girare liberamente i dintorni. La città in sé infatti non offre niente di così interessante, ma la campagna intorno ha mille attrattive per chi ama stare all’aria aperta. Molti infatti descrivono Vang Vieng come la città dove vengono i giovani per fare festa e tubing (scendere dal fiume sui ciambelloni bevendo birra); in realtà la mia impressione è che se si vuole fare altro ci sono tutte le possibilità per farlo. Lo scooter resta il mezzo migliore per esplorare i dintorni; ci sono anche molti noleggi di mountain bike di buona qualità ma con lo scooter si possono davvero vedere molte più cose in pochi giorni.

La mia prima tappa, su consiglio della mia dolce host Anna, è la Lagoon 3: a Vang Vieng ci sono varie “lagoon”, che poi sono dei piccoli laghetti di acqua limpida di solito attrezzati per turisti con ponticelli da cui tuffarsi, mini zip line e sdraio…e anche la Lagoon 3 non fa eccezione. Non mi entusiasma troppo, ma in compenso poco dopo il lago c’è l’indicazione per una grotta e un belvedere. Vado a vedere di che si tratta, armata della mia pila frontale (necessaria a Vang Vieng per le molte grotte presenti, la maggior parte senza illuminazione). Seguo i cartelli, dove indicano che “la grotta è facilmente accessibile anche da soli”, inizio a salire per un sentiero un po’ impervio e mi fermo all’ingresso della Phaboun Cave: ci sono due scalette di legno un po’ malmesse che scendono in verticale verso un punto che a me sembra un fondo cieco. Provo a scendere ma di nuovo mi sembra che non ci sia dello spazio per proseguire. Allora torno indietro sperando che nel mentre io possa incontrare qualcuno a cui accodarmi per entrare in questa misteriosa grotta, e nel frattempo salgo al viewpoint accanto – a sua volta piuttosto impervio. Ho la conferma che in Laos hanno dei parametri di “accessibile” molto diversi dai nostri! Scendendo dal belvedere vedo all’ingresso della grotta un signore che aspetta, chiedo se vuole entrare ma mi dice che non si fida. Iniziamo bene. Mentre parliamo sentiamo una voce uscire dalla grotta, ci voltiamo e dalla parte che a me sembrava chiusa spunta un simpatico signore inglese su di età che alla nostra domanda “ma era nella grotta?” (sì ecco, domanda stupida) risponde sogghignando “sì sono dentro da 4 anni”! E se la ride sotto i baffi. Gli chiedo come è, lui mi incoraggia dicendomi che, superato l’ingresso che in effetti è molto stretto, poi dentro è tutto più ampio. Guardo il mio compare di attesa per vedere se di fronte a questi commenti ha cambiato idea e si decide a seguirmi ma con un cenno del capo mi fa segno di no. Accidenti! Insomma, afferro il coraggio che ho da qualche parte e mi avventuro giù per le scalette da sola, borbottando qualcosa tra me e me – e il simpatico inglese commenta “parli da sola, sono i primi segnali di follia!”. Sorrido e mi aiuta a stemperare un po’ la tensione. Supero il punto stretto e in effetti poi la grotta si amplia davvero, procedo per un bel pezzo, tra qualche scaletta e qualche sali e scendi, e vado, e vado…ma dopo un poco, nel buio e col solo suono del mio respiro, decido che è abbastanza e torno indietro. Ho fatto anche questa!

Ritorno in sella al mio scooter e me la godo nel guidare su queste strade sterrate con la vista incredibile sui picchi rocciosi attorno, è proprio un bel paesaggio. Certo non bisogna mai distrarsi troppo dalla guida perché qui le buche sono ovunque e belle profonde, lo scooter devo riportarlo intero. Arrivo all’ingresso del Nam Xay Viewpoint, uno dei viewpoint più fotografati della città. Se tanto mi dà tanto, vista l’esperienza dei precedenti viewpoint laotiani, anche questo sarà “accessibile” a modo suo: infatti la pendenza è sempre importante, con tanto di corrimano di bambù ai lati per aiutarsi a salire. E’ piuttosto affollato, mi accodo a una fila di signore asiatiche che partono baldanzose ma dopo dieci minute sono ferme a prendere fiato, e salgono in infradito! Ahi, non so se ce la faranno. In totale la salita dura circa 1 ora, ma arrivati alla cima il panorama ripaga senza dubbio lo sforzo. Si ha una vista a 360 gradi sulla vallata attorno e, come tutti i viewpoint qui a Vang Vieng, c’è un oggetto particolare dotato di bandiera laotiana su cui scattare delle memorabili foto. In questo caso una motocicletta, in altri viewpoint si trovano un aeroplano, una macchinina e mi dicono perfino un unicorno! Non mi tiro indietro e ingaggio, tra i numerosi turisti presenti, un ragazzo che sta prendendo fiato sulla cima come fotografo personale. Scendo – e trovo il gruppetto di donne asiatiche che avevo incontrato all’inizio, ci salutiamo riconoscendoci e mi dicono di incoraggiare un’amica che si è fermata più sotto perché stremata. L’ho fatto, ma potrei scommettere che l’amica è ancora lì. Riprendo lo scooter e torno verso Vang Vieng città per assaggiare uno dei famosi sandwich al Big Mama Street Food, consigliato dalla host – panino gigante e in effetti squisito, ma tutt’altro che leggero, non bisogna affrontare una salita ad un viewpoint subito dopo.

Finito il pranzo raggiungo poco fuori dal centro la Jang Cave: in questo caso la grotta è immensa e ben illuminata artificialmente, resto impressionata da quanto si estenda in lunghezza. Vale la pena visitarla. Mentre si avvicina il tardo pomeriggio vado verso l’ultimo viewpoint della giornata, il Phangern Silvercliff Viewpoint – che si rivelerà essere il mio preferito. La salita è, inutile dirlo, abbastanza impegnativa in quanto a dislivello, e dura circa 45 minuti. Ma il vantaggio che rende questo viewpoint spettacolare è la quasi assenza di turisti: siamo solo in tre ad ammirare quello che ci si presenta: panorama, colori che iniziano ad assumere i toni del tramonto, e lo spettacolare volo delle mongolfiere, attrazione famosa a Vang Vieng. Due volte al giorno, infatti, all’alba e al tramonto, si possono prenotare gite in mongolfiera – e noi da questo viewpoint possiamo ammirarne direttamente il volo, è bellissimo. Rientro a Vang Vieng e dopo una doccia mi gusto un’ottima cena a base di spaghetti e un bicchiere di vino (ebbene sì) all’Academy Training Restaurant, un ristorante che è anche una sorta di “scuola alberghiera” per ragazzi, dove si possono assaggiare piatti sia laotiani che internazionali, in un ambiente ben curato (tovaglioli di stoffa, per la prima volta in Asia!) e a prezzi locali (il mio costo totale è stato di $6,50). Consiglio di altri viaggiatori incontrati in Vietnam!

VENTIANE/PAKSE/CHAMPASAK – 15/19 gennaio 2025

Parto da Vang Vieng a metà giornata, dopo aver piacevolmente passeggiato la mattina lungo il fiume Nam song; prendo un pulmino che in circa due ore mi porta a VIENTIANE, capitale del Laos. Qui ho solo tre ore a disposizione per curiosare nella città, prima di prendere il bus notturno per Pakse. In questo tempo riesco a vedere l’interessante COPE Visitor Centre, centro dedicato alla sensibilizzazione circa il problema delle mine sganciate sul Laos alla fine degli anni Sessanta da parte degli Stati Uniti; e molte di queste mine ancora inesplose [Durante la guerra del Vietnam furono sganciate sul Laos più di due milioni di tonnellate di bombe a grappolo, rendendolo il paese più pesantemente bombardato della storia pro capite]. Nel centro oltre a notizie storiche c’è una parte molto interessante riguardo alla riabilitazione fisica delle persone che a causa delle mine hanno perso gli arti e necessitano di protesi: vengono mostrate protesi di legno fabbricate dalle persone stesse, oggetti quotidiani adattati per essere usati con un solo arto, e tecniche di riabilitazione. Terminata questa visita (il centro è gratuito ma è consigliabile lasciare un’offerta); contratto con un songthaew per farmi portare ed aspettarmi di fronte al famoso tempio simbolo della città, il Pha That Luang, tempio dorato che alla luce del tardo pomeriggio risulta davvero abbagliante e maestoso. Ma ho giusto il tempo di una foto che devo tornare a prendere il bus.

Io e gli altri turisti diretti a Pakse veniamo quindi portati con un furgoncino alla grande stazione sud degli autobus di Vientiane che sembra un luna park dal numero di luci al neon che sfoggia ognuno di questi enormi sleeping bus. Alle 19.30 ci fanno salire sul nostro bus e, tanto per cambiare, mi ritrovo di nuovo con un biglietto per il fondo del bus, su un materassone in comune con altri malcapitati. Credo che spesso chi viaggia da solo finisca in questi posti perché gli altri sedili sono tutti a coppie, quindi chi viaggia in coppia, acquistando il biglietto insieme, ottiene i posti vicini. Noi poveri single invece facciamo da tappabuchi…insomma, stavolta mi piazzo accanto a un signore locale, che mi sorride timidamente; immagino che entrambi speriamo che non salga più nessuno in modo da avere tutto lo spazio per noi e non essere imbarazzati nel dormire vicini. Speranza vana, ma qui viene il bello: chi sale è un monaco buddista, uno di quelli con la testa rasata e la tonaca arancio, per intenderci. Per una frazione di secondo ci guardiamo: e dallo sguardo capisco che c’è qualcosa che non va. Anche gli altri viaggiatori locali sul bus si girano verso di me e mi fanno segno di spostarmi verso il finestrino, verso l’angolo opposto insomma. Già perché i monaci non possono nemmeno sfiorare per sbaglio una donna, figuriamoci dormirci accanto! Insomma, rischiando la crisi diplomatica, alla fine io e il monaco ci ritroviamo a dormire sullo stesso materasso ma ai due lati opposti. Devo dire che questa la terrò come storia da raccontare! Peccato poi che, all’ultimo momento, anche un altro ragazzo salga sul bus venendo a riempire l’ultimo posto accanto a me, quindi alla fine si dorme stretti anche stavolta. E fosse solo per lo spazio: la strada che affrontiamo nelle 11 ore di viaggio verso Pakse è piena di buche, ma non piccole buche, sono dei crateri. Tanto che a un certo punto io e il mio vicino di materasso ci svegliamo contemporaneamente per il sobbalzo del bus che ci fa letteralmente staccare dal materassone! Insomma 11 ore di viaggio in questo modo e senza nemmeno una pausa…per fortuna dovrebbe essere l’ultimo sleeping bus da prendere in questo viaggio.

Arriviamo a PAKSE verso le 7 del mattino, rintronati e malmessi dalla strada fatta, e io mi incammino a fare colazione che mi aiuta a riprendermi un poco; vado quindi al mercato dove trovo un songthaew che mi porterà alla cittadina dove alloggio, Champasak, consigliata dalla coppia di viaggiatori francesi conosciuta in Vietnam (grazie Gilles and Connie!). Il mercato di Pakse è molto grande e tipico, e mi ritrovo a pensare che il mercato resta uno dei posti del cuore in ogni città che ho visitato. Si vede la vita quotidiana delle persone, gli scambi, i modi di gridare e contrattare, di ridere e prendersi in giro, c’è l’energia frizzante di tutti i lavoratori, è davvero bello. Arriva l’ora della mia partenza e salgo sul songthaew che, mentre io gironzolavo per il mercato, è stato riempito all’inverosimile di tutte le merci possibili e immaginabili, sia accanto a me sia sul tetto insieme ai bagagli: abbiamo verdure, uccelli in gabbia, foglie di tè, pane, contenitori di plastica, e chissà cos’altro che non sono riuscita a vedere. Anche questo viaggio è inframezzato dalle frequenti pause per scaricare persone e merci nei vari villaggi; a un certo punto il nostro mezzo non riparte – allora l’autista fa segno ai viaggiatori seduti vicino al bordo di scendere e spingere per farlo ripartire; così fanno e dopo un paio di tentativi funziona! Intanto nel viaggio chiacchiero con Brian, ragazzo asiatico che mi dà suggerimenti per una tappa futura in Thailandia, consigliandomi cose da vedere che da sola non avrei mai trovato. E’ la cosa fantastica di questo viaggio.

Arrivo finalmente a CHAMPASAK al mio alloggio, Souchitra Riverside, una piccola guesthouse gestita da Gilbert, un gentilissimo ragazzo francese – il posto è davvero incantevole, con tanti piccoli bungalow che si affacciano direttamente sul Mekong. E’ stato uno dei miei posti del cuore del Laos. Mi riprendo dal lungo viaggio in bus rilassandomi sull’amaca della veranda, è proprio quello che ci vuole. A cena provo il ristorante Homemade Restaurant – i piatti sono davvero buoni, bisogna solo avere pazienza perché il servizio è molto easy, come la vita qui. Per farvi capire, una sera con altre viaggiatrici ci siamo trovate a cenare lì, e al momento del conto erano spariti tutti, non c’era nessuno a cui pagare e siamo dovuti andare noi a cercarli!

La mattina successiva, su consiglio delle mie vicine di bungalow Eveline e Carole, noleggio la bici e parto per un giro ad anello di circa 36 km che mi porta nella prima parte in mezzo a villaggi, su ponti di ogni sorta (di legno, di bambù, di metallo), su una barca per attraversare il Mekong e dirigermi, sulla sponda opposta, al tempio Wat Tomo, un tempio ormai in rovina e collocato proprio in mezzo alla giungla, che mi ricorda un po’ alcuni templi di Angkor Wat. Questo primo tratto del giro è favoloso e ti fa sentire tutto il calore della popolazione dei villaggi: ti sorridono tutti quando passi, fai un “bagno” di Sabaidee (il saluto locale), che ti senti urlare da tutti, bambini e adulti. Insomma, è un tratto che fa bene al cuore e smentisce le prime impressioni negative che avevo avuto appena arrivata in Laos. Dopo il tempio pedalo fino al mercato di Pathoumphone dove mi fermo per un bel piatto di noodle e gironzolo tra le bancarelle. Da qui il giro prosegue per un tratto iniziale un po’ noioso lungo la strada asfaltata principale, per poi immettersi finalmente in uno dei tratti più suggestivi, nella foresta. Qui, complice una luce che filtra tra i rami degli alberi schierati in lunghe file, si respira una sensazione di magia. Il consiglio del mio host infatti era quello di fermarmi un attimo nella foresta per guardarmi attorno e “sentirne l’energia”; io ci ho anche provato ma tutte le persone che passavano vedendomi ferma a fianco della bici si fermavano per capire se avessi bisogno. Morale, sono risalita in sella alla mia bici e sono ripartita per evitare che l’intero villaggio arrivasse in soccorso. Al termine della foresta ho ripreso di nuovo una barca che mi ha riportato sulla sponda della mia guesthouse. E’ valsa veramente la pena fare questo bel giro. La sera mi gusto lo spettacolo del Shadow Puppet Theater, il teatro di ombre create da marionette e accompagnato da una banda di musica locale. La storia che recitano è tutta in lingua laotiana ahimè quindi in realtà tutti noi turisti presenti ci godiamo la musica e le ombre senza capire quello che raccontano!

La giornata successiva la trascorro in compagnia di Eveline, la mia vicina olandese. Decidiamo di fare un giro a piedi sull’isola che si trova accanto a Champasak, Don Daeng Island. Arriviamo lì con la nostra barchetta (in 5 minuti di traversata) e iniziamo il nostro giro di circa 13 km camminando e chiacchierando tra le stradine dei villaggi e i saluti dei locali. Ci concediamo un pranzo in un posto chic, “La Folie Lodge”, consigliato anche perché se vi portate il costume potete sfruttare la loro bellissima piscina, e poi torniamo in barca verso Champasak. La sera torniamo nello stesso posto del Puppet Theater per assistere stavolta alla proiezione di un vecchio film muto, “Chang”, girato nel 1924 durante un periodo di 3 anni e ambientato nel nord del Laos, che documenta la vita di una famiglia locale nella giungla. Devo dire che alcune scene viste con gli occhi di oggi sono un po’ cruente per l’uccisione di alcuni animali e il modo in cui sono trattati; bisogna però considerare il periodo in cui è stato girato e la lotta reale per la sopravvivenza della famiglia nella giungla. E, diversamente dalle marionette, qui la storia almeno è in inglese!

Domani lascerò Champasak con un po’ di malinconia: questo piccolo villaggio è stato una bellissima pausa rilassante all’interno del viaggio, e nello stesso tempo mi ha permesso di vivere e sentire davvero la realtà del posto. Le due giornate in bicicletta e in cammino sull’isola, così come le passeggiate nell’unica via principale di Champasak alla luce del tramonto resteranno sempre nella mia memoria.

DON DET (4000 ISLANDS) – 19/21 gennaio 2025

Riparto da Champasak la mattina successiva e tra barca, pulmino e barca finale arrivo a DON DET, l’isola che fa parte dell’arcipelago delle famose 4000 isole a sud del Laos (arcipelago chiamato Si Phan Don in laotiano), vicinissimo al confine cambogiano. In realtà pare che il numero sia un po’ esagerato rispetto alla reale numerosità di queste isole, o meglio probabilmente la cifra è tale se si considerano come isole tutti i piccoli scogli che emergono nel fiume Mekong. Ad ogni modo quelle dove è possibile soggiornare sono solo tre: DON DET, DON KHONE E DON SOM. Il consiglio è di scegliere tra Don Det e Don Khon, che sono collegate da un ponte; Don Som da quanto ho letto ha pochissimi alloggi ed è più isolata. Don Det è probabilmente l’isola con maggiori alloggi e ristoranti/locali per viaggiatori “zaino in spalla” – a volte viene descritta come isola frequentata da giovani interessati a fare festa e tubing (stare su ciambelloni nel fiume bevendo birra, come a Vang Vieng). In realtà se non si vuole fare nulla di tutto ciò ma solo rilassarsi ci sono tutte le possibilità di farlo senza venire disturbati. Passo infatti il primo pomeriggio a oziare tra amaca, piccola passeggiata e lettura con vista Mekong e i suoi colori spettacolari, specialmente nel tardo pomeriggio.

Il giorno successivo noleggio una bici e attraverso la piccola isola di Don Det per raggiungere il ponte che la collega alla vicina isola Don Khone; le strade sono tutte pianeggianti e asfaltate, ci sono solo tuk tuk, scooter e qualche altra bicicletta perciò si gira davvero piacevolmente. Su Don Khone ci sono le due cascate che costituiscono l’attrattiva naturale principale di queste isole: le Li Phi Waterfall e le Khone Pa Soy Waterfall. Nelle prime c’è anche la possibilità di fare una zip line e dei ponti sospesi direttamente sulle cascate. Lo scenario è molto bello; certo io ho dovuto rivedere un attimo il mio concetto di cascate perché nella mia testa mi immaginavo cascate che si sviluppano in altezza (le mie Cascate del Serio in provincia di Bergamo insegnano); qui in realtà lo sviluppo è in estensione: si tratta di tantissimi salti d’acqua su rocce a più livelli che coprono un’area molto ampia. Arrivo fino al punto più a sud dell’isola di Don Khone, al French Port, dove è bello ammirare il Mekong nella sua ampiezza. Qui vive una specie particolare di delfini, i “delfini di Irrawaddy”, e vengono organizzate uscite in barca per avvistarli; purtroppo però sembra che siano talmente pochi che riuscire davvero a vederli è molto difficile. Riprendo la mia bici per rientrare verso Don Det. Il percorso totale di pedalata sulle due isole è piuttosto breve, una ventina di km in tutto, quindi il consiglio è prendersela con calma, come vuole lo spirito delle isole laotiane, fermarsi a ammirare i vari paesaggi, a bersi un caffè e un fruit shake, pranzare con vista sul Mekong, e sfruttare tutta la giornata. Nel rientro mi fermo su una delle spiaggette di Don Det (ce ne sono un paio) che si presta perfettamente a rinfrescare le gambe e sdraiarsi all’ombra a leggere; c’è anche chi fa il bagno e in effetti in questo punto l’acqua è pulita. La giornata non può che concludersi con una buona cena vista tramonto, non c’è modo migliore per salutare quest’isola. Personalmente credo valga la pena passare un paio di giorni qui, anche di più se si ha bisogno di un po’ di relax arrivando da giornate più frenetiche; io non ho voluto fare più di due notti perché le giornate di stacco le avevo già vissute a Champasak dove ho apprezzato ancora più che sulle isole la vita pacifica dei laotiani.

A questo punto il mio viaggio in Laos si va a concludere; prenderò infatti un trasporto direttamente da Don Det che, prima in barca, poi in mini van e in pullman, mi porterà ad attraversare il confine tra Laos e Thailandia (Ban Chong Mek border) arrivando nella prima grande città thailandese dopo il confine laotiano, UBON RATCHATHANI.

Piccolo consiglio di prosecuzione se, come me, dopo il Laos continuate in Thailandia (di solito Bangkok è la scelta per il volo di ritorno, da qui generalmente si trovano i voli più economici per l’Europa): arrivati a Ubon Ratchathani dovete necessariamente passare almeno una notte qui prima di prendere, ad esempio, il treno per Bangkok (c’è anche il treno notturno – ma da prenotare in anticipo perché spesso finiscono i posti letto e bisogna viaggiare sui sedili. Fatto: non lo consiglio se volete riposare). Ubon però merita di per sé una giornata intera ammirando il suo piccolo ma caratteristico Night Market, e facendosi trasportare da un taxi a vedere questi posti: il tempio Wat Sirindhorn Wararam, che di sera si accende con mille luci; il Pha Taem National Park con le sue rocce a forma di fungo e le incisioni rupestri; e il Sam Phan Bok, un canyon meraviglioso dove i locali organizzano dei mini tour sulle jeep per scattarvi fotografie incredibili in diversi punti. Prettamente turistico, ma avrete dei gran bei ricordi!

Considerazioni sul Laos: in totale ho trascorso solo una quindicina di giorni in Laos, col senno di poi consiglierei di aggiungere un giorno in più nelle città di Luang Prabang, Vang Vieng e fare una sosta a Vientiane. Ci sono inoltre altri punti interessanti del Laos che ho scoperto dai racconti di altri viaggiatori: nella zona a nord ovest dei trekking nella giungla piuttosto avventurosi; un anello in scooter da fare in autonomia nell’area di Thakhek (il Thakhek Loop); dei trekking nel Bolaven Plateau nei dintorni di Pakse. Posso dire che questo paese, nonostante non mi abbia catturato fin dall’inizio, ha poi saputo farsi apprezzare sempre di più, complice la sua natura straordinaria e la vita rilassata dei suoi abitanti, che se all’inizio mi sono parsi scontrosi e meno ospitali, in realtà si sono poi rivelati grandi elargitori di sorrisi e saluti. Certo forse se si ha solo una settimana o dieci giorni non è così facile da esplorare visti i trasporti non sempre veloci da una città all’altra, ma se si è in cerca di avventura e natura questo è il paese giusto.

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1 Commenti

  • Gio

    Una bellissima avventura!! Brava Silvia

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Chi sono

Silvia

Nata a Clusone (BG), vivo e lavoro a Milano.

“Non tutti quelli che vagano sono persi” – ecco, l’idea di perdermi nel mondo e nelle sue mille facce mi affascina proprio. Natura, culture, persone, esperienze nuove: sono curiosa di tutto ciò. E tu?

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